interviste:
komakino maggio 2007
freak out novembre 2006
kronic giugno 2006
Intervista
FREAK
OUT di Guido Gambacorta. A colloquio con Giuseppe Caputo,
voce e chitarra del trio post-punk Miranda, in occasione dell'uscita
del secondo disco del gruppo. Inevitabile poi soffermarsi a parlare
anche della fromSCRATCH, etichetta che Giuseppe co-dirige con una
passione davvero ammirevole. Un grazie aggiuntivo al bassista Piero
Carafa, il quale ha gentilmente partecipato all'intervista rispondendo
pure lui ad alcune delle domande.
1-
I titoli dei due dischi dei Miranda - "Inside the whale"
il primo, "Rectal exploration" il secondo - sembrano quasi
rivelatori di una vostra inconscia paura di venire allo scoperto,
di staccarvi dal caldo ventre "materno" della balena e
dalle fetide viscere "paterne"... tipico complesso edipico
di gruppo perennemente in bilico tra sogni e frustrazioni, tra underground
ed anonimato? .....ehm scusa, ho fatto il Freud dei poveri.....
Giuseppe: Ehm… che domanda profonda, cercherò
di essere all’altezza… eheheh…
E’ vero che in entrambi i titoli c’è l’idea
della fuga, ma in senso opposto. Inside the whale è un commento
scritto da G. Orwell su H. Miller, che è uno dei miei scrittori
preferiti. Il ventre della balena è un luogo caldo e umido,
che protegge e tiene lontani dalle responsabilità. La metafora
era usata in senso critico per descrivere la poetica di Miller,
basata sull’edonismo estremo e sul rifiuto del compromesso.
Abbiamo preso in prestito quel titolo perché abbiamo registrato
il disco sottoterra, in un sottoscala nelle colline tra Bologna
e Firenze, in una situazione di completo distacco. Il luogo era
piccolo e claustrofobico, così come i suoni che ne sono venuti
fuori. Questo accadeva l’estate del 2002, estate calda e umida.
Rectal exploration rappresenta il contrario del ventre della balena.
E’ un’esplorazione sessuale animalesca, fatta di tanto
sudore e piacere. Non è chiudersi, ma cercare di esplorare
in profondità, in maniera radicale e sfrontata. Volevamo
che tutto fosse più immediato di inside the whale, ci siamo
riusciti credo, sembriamo un altro gruppo, soprattutto grazie all’entrata
nel gruppo di Nicola (batteria). Prima di iniziare a registrare
avevamo solo 5 brani pronti, l’idea era di suonare senza soluzione
di continuità per tre settimane, stravolgendo le strutture
originarie e producendone di nuove, parlando pochissimo ed evitando
di discutere troppo delle cose che uscivano fuori. Rock ‘n
roll animal, direbbe Lou Reed. Questo accadeva l’estate del
2005, sulle colline a sud di Firenze.
Piero:
La scelta del titolo del primo disco è tutta di
Giuseppe e si accostava bene alle atmosfere cupe e contorte del
disco. Credo per questo di avere avuto una buona parte di responsabilità..
Un momentaccio a livello personale e affettivo che è sfociato
come un vulcano in implosione tutto sulle atmosfere dei primi Miranda..
“Rectal exploration” è basato invece sull’impatto
sonoro e meno sull’introspezione.. Se “inside the whale”
era un flusso mentale, Rectal exploation è uno schiaffo con
la voglia di buttarsi dietro il passato.
2-
Potendo scegliere, tra vent'anni preferiresti che i Miranda venissero
ricordati come gli allievi maldestri dei Can o come i figli degeneri
dei June of '44?
Giuseppe: Preferirei di gran lunga la prima definizione.
Credo che siamo molto lontani dall’idea che i june of 44 avevano
della musica. Noi prediligiamo un approccio selvaggio, non c’interessano
i viaggi freddi e calcolati, preferiamo esplorazioni in luoghi caldi
e umidi. Basta vederci dal vivo per capire quello che voglio dire
e per notare la differenza del nostro approccio rispetto al rock
matematico, il post-rock o come lo vuoi chiamare. Vomitiamo sudore
e bruciamo calorie come un gruppo punk, altro che post-rock!
Discorso molto diverso per i Can, dei quali adoriamo i primi dischi.
Hanno una sezione ritmica eccezionale, il basso riesce allo stesso
tempo a produrre ritmo e a fare melodia, la chitarra riempie i vuoti,
mentre la voce alienata di Damo Suzuki dà colore. Noi abbiamo
un approccio simile, anche se i risultati sono molto differenti.
Piero:
mi piacciono tutte e due le definizioni, dei Can però abbiamo
una stima maggiore perché nessuno direbbe, ascoltandoli a
scatola chiusa, che alcuni brani risalgono agli anni ‘70.
Prese singolarmente molte loro canzoni potrebbero rappresentare
ognuna una tendenza o un genere musicale che si è sviluppato
nell‘underground dagli ’80 fino ad oggi.
3-
Mi puoi illustrare il testo di "American bombs"?
Giuseppe: Il testo è molto minimale: “lascia
che ti spieghi il mio piano per dissolverti, 3 american bombs, tutto
quello che ho detto, ho fatto è per te solo per te”.
Quando abbiamo scritto il testo iniziava la seconda guerra degli
USA contro l’Iraq. Personalmente odio i gruppi che parlano
di politica nella musica, finiscono per essere retorici e patetici.
La musica preferisco usarla per altro, ma l’attacco americano
all’Iraq aveva creato un clima pesante, il pezzo era già
pronto e sembrava fatto apposta per fare da colonna sonora a quel
momento surreale, il testo è venuto dopo. I media hanno prodotto
una quantità tale di informazioni false e selezionate ad
arte per creare un clima di insicurezza e di catastrofe imminente.
3 american bombs non vuole essere un pezzo di denuncia e non vuole
far politica, non c’è un riferimento esplicito a quella
guerra, non ci sono prese di posizione esplicite, solo la traduzione
in musica di un’atmosfera plumbea vissuta da tre musicisti
che, per loro fortuna, sono nati dalla parte giusta dell’emisfero,
quella ricca che le bombe le sgancia.
Piero:
quando questa canzone era in fase di elaborazione l’atmosfera
che si cercava di creare suonandola era incentrata sull’idea
del loop e della ripetizione circolare. L’esplosione liberatoria
e noise del finale si accostava benissimo alla sensazione di bombe
che piovono all’improvviso dal cielo.
4-
Quando hai preso perfettamente coscienza che il tuo "non saper
cantare" è una forma di "canto"?
Giuseppe: Mentre registravo le parti vocali di
rectal exploration, mi sono detto “cazzo funziona”,
tutto qui. Sono riuscito a liberarmi completamente della mia timidezza,
non so come ci sono arrivato, è solo successo ad un certo
punto. Nell’ultimo anno ho ulteriormente sviluppato il modo
di cantare, ma questo lo scoprirai nel prossimo disco o dal vivo.
Prima o poi riuscirò anche a cantare in italiano, vorrei,
ci provo ma proprio non ci riesco.
Piero: Come, non sapevi che Giuseppe ha fatto parte
dello Zecchino d’oro???
5- Oltre che dai Miranda, immagino che molto del tuo tempo
sia assorbito dalle attività della fromSCRATCH.... ci spiegheresti
come funziona a livello logistico la fromSCRATCH, con la vera e
propria etichetta discografica stanziata a Firenze e le attività
di booking e promozione riconducibili invece all'associazione culturale
attiva in quel di Arezzo?
Giuseppe: Si in buon parte è così.
Io mi occupo più della parte dell’etichetta. Spesso
registro anche i lavori che poi produciamo (come per i dischi di
Miranda, Uber e il prossimo dei Neo), ma non è una condizione
necessaria per lavorare con noi.
Con Piero ci occupiamo di organizzare eventi e concerti a Firenze.
Dallo scorso anno abbiamo iniziato le serate a “40watt”,
un contenitore che obbliga i musicisti a suonare a basso volume.
L’idea è nata dall’impossibilità di trovare
un posto dove poter suonare a volumi alti anche durante la settimana,
i club funzionano prevalentemente il weekend. La creatività
limitata e posta sotto stress sembra beneficiarne, la cosa funziona
e diverte musicisti e ascoltatori. Facciamo una cosa simile anche
ad Arezzo, la serata si chiama “a basso volume”. Tutti
i mercoledì il 40watt a Firenze, i giovedì a basso
volume ad Arezzo.
fromSCRATCH come agenzia di booking è seguita prevalentemente
da Alez che cerca di promuovere in giro i gruppi che ruotano attorno
all’etichetta, spingendo l’acceleratore durante le uscite
dei dischi, ma….aimè l’ambiente legato ai live
in Italia sembra sempre più in scalfibile.
6-
Ti lascio tre righe per fare un bello spot promozionale all'ultima
uscita fromSCRATCH, lo split tra Littlebrown e Pentolino:
Giuseppe: Paolo Moretti/pentolino cerca su google
i suoi omonimi e scopre che c’è un Paolo Moretti/littlebrown
che fa dischi con la madcap e che suona cose simili alle sue. E’
stato il caso a farli incontrare. Scrivono entrambi canzoni dal
sapore folk, con un approccio punk. C’è anche un pezzo
registrato dai due in differita telefonica, che unisce i primi 5
brani di Littlebrown con gli ultimi 5 di Pentolino.
7-
Come musicista e come proprietario di un'etichetta, qual è
la tua posizione riguardo al delicato rapporto tra libero uso della
tecnologia (file sharing, duplicazioni non autorizzate...) e tutela
dei diritti d'autore per le opere d'arte e d'ingegno? Se ti dico
che ho masterizzato l'ultimo dei Miranda a dieci amici ti incazzi?
Giuseppe: Puoi masterizzare il cd a quanti amici
vuoi! Se magari il cd gli piace e vogliono sostenerci comprando
l’originale, che ha una bella grafica fatta da un artista
aretino, meglio ancora!
Credo che il diritto d’autore così come lo abbiamo
pensato sino ad oggi non abbia più senso di esistere. Il
cd sembra essere diventato solo uno strumento con cui il musicista
si fa pubblicità, mentre è tornato ad essere centrale
il live. La vendita dei cd come mezzo per fare soldi riguarda, ancora
per poco, solo quelli che vendono milioni di copie, gli altri campano
facendo i concerti. Detto questo, a me piace avere i cd originali,
per me hanno ancora un valore. Internet ed il filesharing sono un
grande strumento, che va lasciato libero e senza controlli. Anche
se chi scarica musica dovrebbe sempre ricordarsi che produrla ha
dei costi e non so fino a punto sia moralmente giusto pensare di
poterla avere sempre e solo gratis.
8-
Nel 2003 la fromSCRATCH ha pubblicate l'ottima raccolta "Collisioni
in cerchio" - sottotitolo "the fromSCRATCH sessions vol.
1" - frutto di sessioni improvvisate in pochi giorni da vari
gruppi amici della tua label, dagli Zu ai Ronin, da L'Enfance Rouge
ai Jealousy Party... ci sarà mai un secondo capitolo di quell'esperienza?
e nel caso, quali bands ti piacerebbe coinvolgere?
Giuseppe: Il secondo volume ci sarà, appena
avremo tempo e soldi per realizzarlo. L’idea per il volume
2 è di coinvolgere 8 gruppi in 4 sessioni di registrazioni,
durante le quali due gruppi alla volta si fonderanno e dovranno
produrre in 2 giorni 20 minuti di musica. Ma potrebbe anche trattarsi
di session registrate da musicisti di più gruppi, lasceremo
decidere al caso. Ci piacerebbe anche realizzare un documentario
della cosa, da allegare in dvd. Ancora non sappiamo chi parteciperà,
probabilmente con chi ci capiterà a tiro nel momento in cui
decideremo di realizzare il progetto.
9-
II concerto a cui hai assistito che proprio non dimenticherai mai...?
Giuseppe: Domanda difficilissima. Unwound, al Cpa
a Firenze, nel 1998. Iniziano a suonare alle 3, eravamo rimasti
in 15 a vederli. Li ho conosciuti un anno dopo circa a Bologna e
quando gli ho ricordato quel concerto, mi hanno risposto che lo
consideravano il più brutto della loro carriera!
Piero:
i concerti li metabolizzo fino a che non avrò un unico ricordo
di un evento che sarà la somma di tutti i concerti visti.
Non potrò mai dimenticarlo perché sarà “IL”
concerto.
10-
...e il concerto dei Miranda che proprio non potrai dimenticare?
Giuseppe: Ce ne sono diversi… A Lione a settembre e l’ultimo
concerto suonato con i Talibam a Firenze, entrambi molto divertenti
e con un pubblico caldo.
Piero:
si a Lione al Sonic su un battello parcheggiato sul fiume è
uno dei miei preferiti ma ho dei bellissimi ricordi anche dei concerti
fatti con Pietro (nostro primo batterista) tipo quello di supporto
agli americani Tristeza a Prato.
11-
Mentre scrivo queste domande da inviarti via mail, sto ascoltando
l'ultimo dei Supersystem... hai avuto modo di sentirlo? Ti è
piaciuto?? Non capita pure a te di dimenarti come un pazzo sulle
note di "The lake"? Le movenze punk-funk della vostra
"Monosexfiles" promettono molto bene, a quando un disco
dei Miranda tutto da ballare??
Giuseppe: Preferisco quello prima dei supersystem,
quello nuovo devo ancora metabolizzarlo. Un disco dance dei miranda?
Le cose nuove a cui stiamo lavorando sono un po’ più
ballabili, più immediate di rectal exploration, almeno nelle
intenzioni, ma forse siamo ancora lontani da quello che immagini.
Anche se ora suoniamo una cover molto dance: mind your own business
delle Delta 5. Le conosci? La suoniamo con batteria, chitarra e
mandolino, è molto divertente.
Piero:
siamo tutti molto ballerini, il problema è la coordinazione,
sarebbe un disco di spastic-dance!